"Basta con i racconti di parte. Basta con i processi mediatici. Basta con la parte dell’imputato, peraltro mai sentito, affibbiata d’ufficio al Pronto soccorso dell’ospedale di Chieti. Questa volta non si può tacere e replicare è un obbligo per due ordini di motivi: raccontare correttamente i fatti sotto il profilo sanitario è necessario per ristabilire la verità, e poi perché non può saltare qualunque regola nel fare informazione: senza alcuna verifica e senza interpellare l’altra parte, la parola di ciascuno può diventare pietra da scagliare a mano libera.
La vicenda riferita da un giornalista e rilanciata sui social da un'emittente regionale è esemplare, perché descrive “l’odissea” patita da un utente approdato in Pronto soccorso per una cisti tendinea di una mano dolente, a cui è stato correttamente applicato, in sede di triage, il codice verde, che viene dato in presenza di sintomi che non interessano le funzioni vitali, ma devono comunque ricevere cure, senza alcun carattere d'urgenza. Il paziente è arrivato in ospedale "su consiglio del proprio medico di base", e la patologia è stata inquadrata come una semplice sindrome dolorosa trattabile con "riposo, ghiaccio e antinfiammatori, locali e per os".
Dunque è stato inviato in ospedale un paziente che doveva essere trattato nell’ambito delle cure primarie o delle visite specialistiche programmate, perché una cisti tendinea non deve arrivarci proprio in Pronto soccorso che, come dovrebbe essere noto soprattutto ai medici di medicina generale, accoglie le urgenze. E quelle che non lo sono le tratta dopo aver dato precedenza ad altri casi più severi.
Allora la domanda è: perché ricorrere al Pronto soccorso quando sono disponibili accessi diretti a visite specialistiche e indagini diagnostiche, anche in tempi brevi, con la sola richiesta del medico di medicina generale?
Il caso in questione è emblematico perché documenta l’uso improprio che viene fatto spesso del Pronto soccorso, usato come scorciatoia per accedere velocemente a prestazioni specialistiche, by-passando il filtro della medicina generale e la fase delle prenotazioni al Cup per patologie che non hanno alcun carattere di urgenza e che, anzi, troverebbero adeguata risposta in altri setting assistenziali. Allora cominciamo a chiamare le cose con il proprio nome: l’urgenza pretesa dalla gran parte degli utenti che varcano la soglia del Pronto soccorso non è un’urgenza clinica, bensì un’urgenza di “velocità”, finalizzata ad avere risposte rapide che, per altre vie, sarebbe più lungo ottenere.
Quando è così, con onestà e altrettanta umiltà l’utente può e deve mettere in conto attese dilatate anche di ore per veder esaudita la pretesa “urgenza” (che, quando reale, viene invece inquadrata con altri codici e lavorata con l’efficienza e l’efficacia di preservare le funzioni vitali del paziente).
Questo è quanto accaduto al caso di cui si è fatta carico l'emittente televisiva e in altri simili che abbiamo registrato in questi mesi. Rettificare è un dovere, non per cercare un improbabile riscatto, che non serve a chi lavora con impegno e dedizione come noi e come altri colleghi, ma per dare elementi di verità a chi giudica senza conoscere e assume come verità assoluta il punto di vista di una parte. Evitare mistificazioni è semplice: basta verificare i fatti".
Tiziana Ferrara
Direttore f.f. Medicina e Chirurgia d’urgenza
Ospedale di Chieti