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Nel video Alberto Granzotto, ricercatore universitario di riabilitazione neurologica e psichiatria



Un semplice prelievo di sangue aiuta a capire se si tratta di Alzheimer e a far luce nella galassia delle demenze. A Chieti è ora possibile effettuare un test che, in combinazione con la valutazione neurologica, neuropsicologica e strumentale, permette di stabilire se la perdita di memoria manifestata da un paziente è dovuta o meno alla malattia di Alzheimer.


Una novità che, in Abruzzo, è attualmente esclusiva della clinica neurologica dell’ospedale di Chieti, diretta da Stefano Sensi. Questo risultato è reso possibile da un apparecchio acquisito dal Cast dell’Università d’Annunzio a fini di ricerca clinica, in grado di analizzare il plasma con un sistema a chemiluminescenza. Lo strumento dosa la concentrazione di due proteine, beta-amiloide e tau, considerate fondamentali nello sviluppo della malattia: valori eccessivamente bassi della prima e alti della seconda, in presenza di segni clinici di deterioramento cognitivo, identificano la malattia di Alzheimer. L’impiego del test consente quindi una diagnosi tempestiva e selettiva, particolarmente utile nella scelta di terapie specifiche.


«Per la ricerca clinica si tratta di un traguardo importante – spiega Stefano Sensi, professore ordinario e direttore del Dipartimento di neuroscienze, imaging e scienze cliniche all’Università d’Annunzio, oltre che direttore della clinica neurologica dell’ospedale di Chieti. – È una metodica che permette una diagnosi differenziata e ci proietta verso la medicina di precisione. Con il dosaggio di queste proteine possiamo compiere un percorso più accurato nella diagnosi e nella terapia, arrivando a formulare trattamenti personalizzati. Il test, che ora abbiamo a disposizione, consente di individuare i presupposti biologici della demenza di Alzheimer con un tasso di accuratezza del 90%. È inoltre fondamentale conoscere tali valori preliminari, poiché in assenza di segni della malattia si evita al paziente di sottoporsi a indagini invasive e costose, come la puntura lombare e la scansione PET con traccianti per l’amiloide, attualmente gli unici metodi considerati gold standard per la diagnosi della malattia. Ancora, il percorso di diagnosi differenziale è cruciale anche in vista della disponibilità dei nuovi farmaci specifici per la demenza di Alzheimer, che non sono indicati per altre forme, come la demenza a corpi di Lewy, la demenza fronto-temporale o le forme miste molto comuni negli anziani».


Un fronte, quello delle nuove terapie, sul quale Sensi è impegnato attivamente da anni, anche attraverso importanti clinical trial. «Non siamo ancora riusciti a sconfiggere la malattia – conclude il direttore della clinica neurologica – ma si stanno compiendo progressi significativi in quella direzione, anche sul piano della riabilitazione. A tal proposito, stiamo sviluppando protocolli di stimolazione magnetica transcranica che, utilizzati nelle prime fasi del declino cognitivo, possono contrastare il processo neurodegenerativo attivando meccanismi di plasticità neuronale».



Stefano Sensi
Stefano Sensi con la strumentazione per il nuovo test



 

 

 

 

 

 

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